venerdì 28 ottobre 2011

Risveglio

La mano guantata passò sopra la consolle, togliendo la patina ghiacciata sullo schermo: "Guarda: funziona, qualcuno sta chiamando."
Il casco si voltò verso una figura in tuta attillata nera, capelli sciolti e viso scoperto: lei non aveva bisogno di respiratori.
"Vedo Kalt, vedo e sento, sai che io e la Princess siano collegate." mormorò quietamente Clio passando a sua volta la mano sulla consolle e ricordando.....

Una settimana prima....

Clio stava preparando la lezione per il giorno dopo, dovevano studiare le missioni compiute da varie navi nell'ultimo secolo... la Princess era una di esse e lei stava facendo una relazione sulle missioni precedenti il suo arrivo sulla nave e sui principali membri dell'equipaggio.
Aveva già sistemato le relazioni sulla Fortune, sull'Enterprise, e su altre navi della federazione, aveva tenuto la Princess per ultima, le faceva male sapere che era stata "messa in pensione". Era riuscita ad ottenere che non la smantellassero, solo per i suoi contatti nelle sfere alte, che conoscevano il meccanismo che la legava alla nave.
Si fermò pensando alla prima volta che era riuscita a fare un giro per la nave con i suoi primi emettitori olografici portatili, sorrise al ricordo... poi un sussulto, un fremito... qualcosa che le avrebbe fatto tendere i nervi e le orecchie se li avesse avuti, in realtà i suoi sensori erano tutti all'erta ed eccitati.
Andò alla finestra: la sua nave la stava chiamando...
Si riscosse, come era possibile?
Socchiuse gli occhi e si concentrò su quello che sentiva... sorrise: sì, la Princess la chiamava.
Doveva contattare gli altri a cominciare dal timoniere.

mercoledì 26 ottobre 2011

Beep Beep

Un singolo segnale luminoso si era appena acceso sulla consolle.
Strano: da anni ormai la plancia dell'astronave era disattiva.
Ma ora quel messaggio, una richiesta d'attenzione, si stava propagando attraverso ciò che restava di quell'atmosfera rarefatta e stantia.
Il suono, distorto, prese un tono che sembrava quasi insolente.
E, inattesa, la porta del turbo ascensore iniziò a scorrere, al principio con un movimento irregolare - a strattoni avrebbe desunto un ipotetico osservatore - poi con decisione, fino a scomparire nella paratia.
Infine, un fascio di luce concentrata fece brillare i cristalli di condensa ghiacciata che ricoprivano ogni superficie del ponte,mentre una mano guantata...

lunedì 24 maggio 2010

In the morning

Sfiancato dal logorante turno del giorno prima e dalle prolungate attenzioni coniugali, Kalt Winter ancora poltriva, sebbene le dieci fossero passate da un pezzo. Dormiva beato, ma il suo comunicatore trillò, impedendogli di continuare per un altro paio d'ore come desiderava.
Era Erika. "Ehi Kalt sono le dieci del mattino, non ti sembra ora di levarti il pigiama?".
"Per poi andarmene in giro indossandone un altro? Che fretta c'è?".
"Sbrigati, pigrone. Io, Windy e i bambini ti aspettiamo al bar di prora".
Era ancora col pigiama da letto quando le porte dell'alloggio si schiusero per fare entrare una delle sorridenti ragazze del giardino botanico con in mano una composizione floreale di dubbio gusto.
"Una consegna per lei dal dottor Hunt, comandante".
Il mazzo consegnatogli era composto da lilium, crisantemi e garofani, tutti elegantemente tenuti insieme da un nastro viola. Il biglietto d’auguri recitava: “Oggi la tua giovinezza è ufficialmente un ricordo. Condoglianze”. Sorrise.
Nonostante la malinconia da cinquantesimo compleanno si fece coraggio e decise di affrontare la giornata. Si vestì col pigiama da lavoro e affrontò i corridoi della Princess pronto a collezionare auguri meno sinceri e più amari di quelli che l’avevano destato, e a offrire raktajino a dozzine.

La prima persona che incrociò per strada fu il capitano Kosmos.
Poiché era in ritardo, decise di liquidarlo in fretta.
"La ringrazio per gli auguri capitano, questa sera Windy ed Erika daranno una piccola festicciola in mio onore nel nostro alloggio. Spero vorrà passare per un saluto".
Kosmos, uomo duro e poco avvezzo ai convenevoli, rispose di sì annuendo non troppo convinto con il capo, rinnovò gli auguri al giovane non più tanto giovane e proseguì per la sua strada.
Da una settimana a quella parte faceva lo stesso giro ogni giorno. La monotonia di una missione diplomatica non era certo il genere di vita cui era abituato, ma quelli erano gli ordini e per ora gli andava bene così.
Quando le porte della sala tattica si schiusero di fronte a lui l'ambasciatore Sivaak di Vulcano era già seduto al tavolo da riunione intento ad esaminare i rapporti del giorno prima.

Finita la riunione e concordato il da farsi con il capitano l'ambasciatore si diresse verso gli alloggi degli ospiti, dove risiedeva. Inarcò un sopracciglio nel calcolare, con precisione vulcaniana e senza ausilio di strumenti o di osservazioni esterne, che la riunione mattutina era durata notevolmente meno di quelle dei giorni precedenti, e in un attimo constatò che questo per qualcuno, non per lui, avrebbe rappresentato uno spiacevole imprevisto.
Aprì le porte del suo alloggio avendo cura di fare rumore. Fece cadere il data pad che stringeva tra le mani su di un tavolino. Raggiunse il centro dell'alloggio. Prelevò una bottiglia di porto vulcaniano dall’apposito ripostiglio, se ne versò un bicchiere e assaggiandone un sorso si sedette sulla poltrona più comoda della sala.
Dopo neanche il tempo di un paio di sorsi gli si parò innanzi un uomo sulla quarantina.
L'uomo era nudo, coi lunghi capelli in disordine e visibilmente sbigottito dal vederlo lì.
Sivaak si alzò e con vulcaniana nonchalance allargò le dita della mano destra verso l'imbarazzatissimo ospite.
"Lunga vita e prosperità. Sono l'ambasciatore Sivaak di Vulcano".
"P-piacere, Ryo Hunt".
"Il dottore, suppongo".
"Ehm, sì, proprio io. Mi scusi, mi scusi, sono mortificato. Vado a mettermi qualcosa addosso".
"Faccia pure… solo una curiosità: di quale delle mie due figlie è ospite?".
"Di T'Pel".

Imbarazzato come mai prima Ryo Hunt si vestì, salutò la sua ragazza, per così dire, e frettolosamente uscì dall'alloggio del diplomatico e s'avvio verso l'infermeria, dieci ponti più sotto. Per raggiungere il suo ufficio doveva attraversare il corridoio che stava percorrendo ed utilizzare il più vicino turbo ascensore disponibile. Attraversando il ponte a passo svelto e con la testa impegnata in altri pensieri, Ryo urtò qualcuno o qualcosa e riuscii a stento a mantenere l'equilibrio.
Salvatosi dall’urto tirò un sospiro di sollievo, poi alzò lo sguardo come per mandare a quel paese l'ostacolo che l'aveva quasi messo k.o.

L'ostacolo era Clio, che s’era trovata ad attraversare il ponte degli alloggi ufficiali dopo aver trascorso una manciata di ore con la famiglia Winter.
"Tutto bene, dottore?".
"Sei terribilmente solida per essere un ologramma, Clio".
Clio sorrise. Il dottore gli faceva spesso questo effetto.
Divisero il tratto di strada che avevano in comune, poi il dottore si diresse verso l'infermeria e Clio continuò il suo cammino verso le celle di sicurezza.
Quando le ebbe raggiunte, prelevò il prigioniero che le interessava e lo condusse in plancia, meccanicamente, pensando a tutt'altro. Pensava ai figli dei Winter, a quanto positivamente avessero influito sulla sua vita. Prima di conoscere quei bambini Clio non avrebbe saputo trovare una definizione alla parola amore. Provava dell'affetto per i suoi amici, per i suoi colleghi dell'equipaggio, ma non aveva mai avuto un vero compagno, mai al suo fianco una persona di cui si fosse potuta dire innamorata. Ma quei bambini erano riusciti a fare di lei una persona nuova, capace d’amare.
"Prigioniero in plancia, comandante".
"Bene, grazie Clio".

Nonostante l'apparenza il comandante Fletcher accolse la notizia senza esserne contenta.
Odiava quello che stava per fare, odiava ancora di più essere costretta a farlo.
"Guardiamarina, apra un canale con la nave cardassiana".
"Ma signore, non possiamo...".
"Mi dispiace Clio, ma non sta a me decidere. L'estradizione è una faccenda diplomatica, e il capitano insieme all'ambasciatore Sivaak ha deciso così".
Maeve era stata la più caparbia ed accanita oppositrice dell'estradizione, quando in privato le era stata chiesta la sua opinione sulla vicenda. Ma adesso, sul ponte di comando, non poteva mettere in discussione le decisioni che erano state prese.
"Abbiamo le coordinate per il teletrasporto, comandante".
"Bene. Clio, accompagni il prigioniero alla sala teletrasporto 2".

Il prigioniero si chiamava Ragak ed era un disertore cardassiano intercettato per caso dalla Princess mentre, sulla sua navicella semidistrutta e col sistema di sostentamento vitale al minimo, andava alla deriva in pieno spazio federale.
Nonostante la richiesta d'asilo avanzata dal fuggitivo, dopo un breve soggiorno sulla Princess i governi federale e cardassiano si erano accordati per la riconsegna del prigioniero nonostante la strenua opposizione del capitano Kosmos e del comandante Fletcher.
"Grazie di tutto, signorina Clio. Saluti il capitano da parte mia. L'ospitalità è stata squisita", sorrise il cardassiano mentre veniva smaterializzato dalla pedana del teletrasporto.

Una volta a bordo dell'incrociatore cardassiano, Ragak venne immediatamente condotto verso le patrie galere. Si sedette sul lettino della sua cella constatando la differenza tra le prigioni federali e quelle cardassiane, ma sereno, in attesa. Per niente pentito di quello che aveva fatto e senza alcun rimpianto per quello che sarebbe stato costretto ad affrontare.
Venne una guardia, diede un'occhiata svogliata al prigioniero e digitò alcuni dati su una console. Il prigioniero le sorrise, beffardo.
Pochi minuti dopo arrivò un’altra guardia. Come da prassi lanciò un'occhiata svogliata al prigioniero costretto nel campo di forza e lesse dei dati dalla vicina console. Il prigioniero le sorrise, beffardo.
Un’altra decina di minuti ancora e arrivò un’altra guardia. Come da prassi lanciò un'occhiata svogliata al prigioniero e si accertò dell'integrità del campo di forza. Il prigioniero le sorrise, beffardo.
Quindici minuti dopo giunse un altro cardassiano. Come da prassi lanciò una tiepida occhiata al prigioniero, abbassò il campo di forza e come da prassi (di un’altra professione) da dietro la schiena tirò fuori una pistola phaser...

venerdì 22 gennaio 2010

Rimpatriata

SS Spirit of Princess, verso la starbase 268

Clio e Maeve si abbracciarono con affetto e anche un po' di irruenza, erano cinque anni che non si trovavano a bordo della stessa nave, e trovarsi a bordo della Spirit of Princess era motivo di nostalgici ricordi, Clio aveva rivisto con piacere l'altra sua figlioccia, Helen, e aveva notato anche quanto era cresciuta oramai.
"Clio, potresti almeno aver pietà di noi semplici creature organiche e farti venir fuori un paio di rughe su quel viso splendido che hai?" disse Maeve ridendo felice nonostante tutto di trovare una cosa stabile nella sua vita.
"Ci ho provato, ma si sono lamentati tutti, così ho lasciato perdere. Ai miei studenti poi non piace che io invecchi... soprattutto ai miei ex studenti."
"Hanno ragione zia Clio, sei bella e tu che puoi rimanere con questo aspetto devi mantenerlo per sempre."
Clio fece una smorfia mista ad un sorriso e abbracciò alla vita la ragazza che aveva tenuto tra le braccia più di una volta.
"Allora come va l'insegnamento?" domandò Maeve.
Clio sorrise felice: "Va benone... mi piace tanto. Hai fatto bene a proporre il mio nome per quel posto all'accademia."
Maeve sorrise: "Sei la più adatta."
Erano quasi vent'anni che Clio Pk-23 era stata riconosciuta senziente, aveva lavorato a varie missioni di cui parecchie agli ordidi di Maeve, poi cinque anni prima, dopo una chiacchierata piuttosto illuminante sui desideri reconditi di Clio, Maeve aveva proposto la donna olografica per un posto di insegnante di bioingegneria all'accademia. Ed era stata la cosa migliore per Clio.
"Notizie di Kalt?"
"Dovrebbe essere già sulla base in attesa dell'imbarco per la crociera se non erro."
"Sulla Base Stellare 268?"
"Sì, anche io volevo andare in vacanza con quella crociera... un po' di vacanza ci vuole.... o almeno continuano a dirmi così." Disse Clio con una smorfia, ripensando a qualcuno che le aveva speigato cosa si faceva in vacanza molti anni prima. Sorrise al ricordo. Avevano avuto una bella storia, poi si era conclusa, ma erano rimasti amici, anzi... a volte la cercava per rilassarsi, e quando si vedevano facevano delle belle chiacchierate. Clio sapeva che per lui era terapeutica: lei non interferiva con la sua mente, quindi lui non doveva schermarsi quando era con lei. Se poteva aiutarlo... lo faceva volentieri.
"Allora zia Clio vieni che ti presento Robert? Lasciamo la mamma al suo lavoro. Disse Helen prendendola di nuovo a braccietto: "Certo cara, andiamo sono proprio curiosa." Rispose Clio salutando Maeve con un 'a dopo' appena sussurrato.
"Ah... zia Clio... potresti mettere quella tuta in cui appari in certe foto olografiche che tiene il papà? Voglio vedere la faccia di Robert quando ti vedrà." disse la ragazza con un sogghigno crudele.
Clio la fissò sorpresa: "Vuoi metterlo alla prova?" Helen non rispose subito, tentennò, poi scoppiò a ridere, seguita da Clio che però, appena voltato l'angolo eseguì la richiesta di Helen.
"Eccomi Robert... mi sa che ti sei scelto una fidanzata piuttosto tosta." pensò tra sé.

mercoledì 20 gennaio 2010

Il ritorno

Kosmos stava passeggiando per la stanza come un leone in gabbia, odiava aspettare in una sala d'attesa. Sicuramente la pazienza non era mai stata il suo forte e con l'età il suo carattera era sicuramente peggiorato. La Flotta Stellare dal suo punto di vista non aveva assolutamente rispetto per la sua posizione, era in ritiro da alcuni anni su un pianetoide nel bel mezzo delle Badlands, coltivava la terra, pescava, passava la sera generalmente in un pub gestito da una splendida donna dai capelli rossi con la quale aveva una relazione conflittuale.
Ma due giorni prima aveva visto arrivare un uomo, una parte della sua vita che non rivedeva da parecchio tempo.
" Padre..." lo salutò Kirshei mentre Kosmos si limitò ad alzare il boccale di birra romulana e sorridere.
Il mezzo vulcaniano si mise a sedere guardandosi intorno e inarcando un sopraciglio, un moto di disappunto minimo che però il vecchio lupo di mare notò.
"Non ti piace la mia sistemazione Kirshei?Eppure conosci i miei gusti...sai cosa mi piace..."
Il figlio di Kosmos lo guardò negli occhi "So cosa ti piaceva una volta padre, l'avventura."
"Cosa vuoi Kirshei?" tagliò corto Kosmos capendo che il figlio che anni prima aveva avuto dall'ambasciatrice T'ren, non era lì per una visita di cortesia ma per qualcosa d'altro che sicuramente non gli sarebbe piaciuto.

"La Flotta Stellare ha bisogno di te!" rispose secco l'Ambasciatore.
"Non ci penso neanche, sono in congedo..." fu la risposta di Kosmos portandosi alla bocca il boccale e sorseggiando la terza birra di quella mattina.

"C'è una clausola che permette di richiamarti in servizio, padre" rispose Kirshei porgendogli un d-padd.
Kosmos lesse due righe e sbattè il padd sul tavolo alzandosi in piedi.
"Possono mandare qui una flotta di sparvieri romulani a prendermi se vogliono...persino la regina Borg in persona...NON MI MUOVO! Sono dei cani...hanno mandato mio figlio cercando di smuovermi..."

"Ammiraglio Kosmos!" disse una voce distogliendo Kosmos dai suoi ricordi.
Guardò l'uomo che aveva davanti, era un po' ingrassato dall'ultima volta che si erano visti e aveva perso un po' di capelli, ma d'altra parte anche lui non era più quello di una volta anche se si teneva costantemente in allenamento...specialmente in camera da letto.

"Ammiraglio Hawking..." rispose stringendo la mano all'ex marito della sua amica Kia.
La mente volò indietro ai tempi della Princess, agli amici come Sivaak, Ryo...poi sospirò rendendosi conto che i viaggi nei ricordi sono un altro sintomo della vecchiaia.

"Jorgos, mi spiace aver usato un sotterfugio per convocarti qui...ma altrimenti non saresti venuto..." si scusò Hawking invitandolo a sedere.

"SOTTERFUGIO?" alzò la voce Kosmos "quel bastardo di mio figlio ha usato la presa vulcaniana per stordirmi e mettermi su una navetta...da piccolo dovevo insegnargli a rispettare il padre"

Dentro la sua mente immaginò la voce di T'ren dirgli "Forse dovevi prima essere un padre per lui..."

Hawking prese una tazza di caffè e porse del Tè a Kosmos che sospirò
"Cosa vuoi da me William?" chiese tagliando corto come nel suo stile.
"Ho bisogno di te Jorgos...ho bisogno della tua esperienza e capacità di comando" rispose l'ammiraglio di Flotta.
Kosmos sorseggiò il tè e si passò la mano tra i capelli grigi
"Sono troppo vecchio ormai...conosco un quarto delle attrezzature odierne e sicuramente i miei riflessi non possono competere con quelli dei giovani capitani della Flotta Stellare..." fu la risposta titubante. Aveva paura? Jorgos T. Kosmos aveva paura di affrontare il decadimento fisico normale di un essere umano? Aveva paura di non essere più all'altezza della sua fama?

Ricordi

SS Spirit of Princess, verso la starbase 268

Maeve si stava osservando allo specchio sistemandosi i pin lucidi. Un’altra delegazione che avrebbe dovuto accogliere, già altri ambasciatori che le avrebbero fatto venire i capelli bianchi prima del tempo.
Eccola lì! Sul viso era apparsa una piccola ruga, proprio vicino all’occhio destro. Avrebbe giurato che la sera prima non ci fosse. Doveva essere decisamente colpa di Helen e del nuovo tipo che frequentava. Ed ecco lì un altro segno dello scorrere del tempo, quel capello bianco che si mimetizzava, o almeno ci provava, tra i capelli castani legati in uno stretto chignon.
"Maeve stai invecchiando" mormorò mentre si stava contemplando allo specchio. Per i suoi 50 anni era una donna decisamente attraente, appesantita forse solo dalla gravidanza molti anni prima; gravidanza che l’aveva riempita però nei punti giusti con sua grossa sorpresa. Il tipico suono del sensore la fece sospirare, era ora di incontrare quelle persone.
"Avanti" disse appuntando quindi il commbadge sulla divisa prima di voltarsi. Una ragazza abbastanza alta, dalle gambe affusolate fece il suo ingresso. Un nasino bajoriano appena accennato faceva capolino su un viso color del latte incorniciato da una valanga di riccioli castani. Ma la cosa che colpiva più di tutto erano quegli occhi verdi che sorridevano ancor prima delle labbra color ciliegia.
"Mamma ci sono un sacco di sorprese"disse Helen sorridendole, lo stesso sorriso del padre.
"Oh e quali sarebbero?" Rob ha imparato ad aggiustare un replicatore?"domandò scettica Maeve.
"Ma dai mami" rispose la ragazza di 17 anni facendo il broncio "una cosa stratosferica! Ci fermiamo sulla starbase 268"
La bajor umana stava pensando già che quella non sarebbe stata una sorpresa ma un miracolo, Robert Moran era un bravissimo ragazzo, ma un terribile ingegnere; invece ecco quel nome che per lei voleva dire solo una cosa: problemi.

"Allora mamma non sei contenta? Rivedrò papà anci rivedremo visto che voglio presentare anche a lui Rob!"
"tesoro non credo che il tenente comandante ne sarà felice. Ed evita a quel povero ragazzo le pene dell'inferno!"
"Mamma chiamalo Ryo, no? Cosa ti costa? E poi sono sicura che ne sarà felicissimo!"
Maeve annuì anche se sapeva che non sarebbe stato così facile, Ryo era gelosissimo dell’unica figlia che aveva riconosciuto. Erano passati praticamente sedici anni da quando avevano chiuso. Si, erano stati assieme per cinque anni, forse la storia più lunga mai avuta dal dottore, era nata anche una figlia che entrambi adoravano, ma qualcosa si era rotto irrimediabilmente quando la bimba aveva un anno. Certo leggeva di lui, qualcuno le riportava delle voci o semplicemente al ritorno dei viaggi con il padre Helen le raccontava di lui. Sedici anni erano già passati e se ora ripensava al motivo per cui si erano lasciati, un leggero sorriso le increspava le labbra. Una sciocchezza!
"Mamma sei ancora qui con me?"domandò la ragazza quasi infastidita "Quindi cerca di essere gentile"
"si...si..."facendo una smorfia a quella sorta di ramanzina. Chissà se anche lui era invecchiato o se ripensava a quei momenti. Lei non poteva farne a meno tutte le volte che guardava la figlia e quegli occhi come fari nella notte. L’aveva amato, si erano amati e forse per questo motivo faticavano a parlarsi o ad essere presenti nello stesso luogo. La cosa buffa era stata il volto del consigliere, l’ennesimo, quando le aveva fatto l’ultimo colloquio trimestrale. “E’ incredibile, lei ha ancora paura di vedere suo marito!” “Non è mai stato mio marito” “Come vuole lei, in ogni caso questo suo comportamento, questo suo timore dovrà essere affrontato e combattuto. In fondo è lei che comanda”.
"Mamma sono due ore che ti parlo, ma mi stai ascoltando?"domandò la figlia "sei senza speranze! sai cosa ti dico? Vorrà dire che per te sarà davvero una sorpresa!"
"No tesoro, ero solo pensierosa scusa..."
Ma Helen non ne voleva sapere, aveva già imboccato l’uscita a passo spedito con quella gonnellina che Maeve reputava decisamente troppo corta. "Accidenti è tardi!"disse la donna scuotendo la testa ed avviandosi rapidamente verso il bar di prora dove si teneva il rinfresco. Dopo qualche minuto varcò l’ingresso, gli ambasciatori sembrava non si fossero nemmeno accorti della sua mancanza. Tirò un sospiro di sollievo mentre veniva avvicinata da un uomo sulla quarantina molto affascinante.
"Spero di non aver fatto male portandoli qui signore!"La donna sorrise. "Ottimo lavoro comandante, come sempre! Ho avuto solo una piccola discussione con mia figlia"
Il comandante Nick Martins sorrise di rimando "Ed io che pensavo che volesse evitare questo momento come al solito! Ah quasi dimenticavo... c'era qualcuno che la sta cercando!"
Maeve non potè nemmeno domandare chi la stesse cercando al suo primo ufficiale, che una voce assai nota la richiamò al suo presente ed allo stesso tempo la rimandava al suo passato. "capitano, capitano Fletcher!" La donna si voltò decisamente sorpresa, erano passati almeno cinque anni dall’ultima volta che l’aveva vista, ma era identica alla prima volta che l’aveva conosciuta. Helen stava arrivando per braccetto alla donna che aveva attirato la sua attenzione. "Zia Clio te l'avevo detto che avrebbe fatto quella faccia sorpresa, ma dopo che le ho parlato di Ryo non ha ascoltato una sola parola come sempre!"

Insonnia

Base stellare 268, notte prima dell'imbarco

D'improvviso, Hunt decise di alzarsi. Spogliò la sedia accanto al suo letto dell'uniforme e di un lungo soprabito azzurro che da un paio d'anni aveva preso l'abitudine di indossare. Il soprabito era stato appena ritirato dalla lavanderia e profumava di lavanda. Sul comodino di fronte a lui i gradi di tenente comandante, che si appuntò al colletto. C'erano voluti anni per riaverli, ed anche se la stragrande maggioranza dei suoi ex compagni d'accademia ormai avevano gradi ed incarichi ben più alti e ben più prestigiosi dei suoi, non gli importava.
Sbucò sulla passeggiata e non poté fare a meno di fissare il suo riflesso lungo le vetrate panoramiche che davano sul freddo vuoto interstellare. Considerò che il panorama di una base stellare era fin troppo monotono, non era quello cui era abituato, non era neanche lontanamente paragonabile a quello godibile dal bar di prora di una nave stellare a velocità curvatura.
Nonostante l'ora, qualche altro passante lo incrociò, il che non era insolito. Qualche ufficiale di turno, un paio di innamorati allacciati ed a prima vista desiderosi di intimità... solo dopo averli urtati tutti si accorse del ritmo nevrotico del suo incedere e del latinum dimenticato in camera. All'ennesimo urto gli si indolenzì la coscia destra, mentre imprecava tra se e se di essere completamente al verde.
Era appoggiato ad una paratia intento a massaggiarsi il muscolo indolenzito quando vide dei capelli luminosi e scuri volteggiare sul capo di una donna che entrava nel bar della stazione. Istintivamente riprese a muoversi, rapito in un inseguimento del tutto improvviso. L'entrata era libera e si catapultò subito nella penombra del locale cercando la chioma con lo sguardo. Il bar non era dei più grandi, le luci erano basse e la maggior parte dei tavolini erano vuoti sebbene non si notasse per via del buio. Su di un improvvisato palchetto trionfavano un paio di luci fioche e l'entrata di Hunt coincise quella di una donna sul palco. Non era quella che aveva visto entrare, aveva un visino esile ed il collo lungo evidenziato dalla scollatura prominente del vestito, un abito sintetico che rifletteva le deboli luci del locale ad ogni suo minimo movimento, donandole riflessi scuri come quelli del vuoto interstellare. Subito dopo di lei presero posto sul palco un paio di umanoidi, che iniziarono a montare la loro strumentazione.
Hunt continuava imperterrito a fissare la donna quando gli si affiancò un cameriere scocciato con un neo enorme sulla guancia. Hunt pensò che fosse la caricatura ferengi di Marylin Monroe. Gli chiese con tono spento e stridulo se voleva accomodarsi, Hunt rispose di sì con un cenno del capo e prese posto su un lato della prima fila. Gli tornò in mente di non avere latinum e cominciò a frugarsi le tasche in cerca di fortuna. Trovò una miseria. Mentre l'offesa vivente di Marylin gli esponeva il menu la donna iniziò il suo spettacolo, allietando la pur piccola platea. Una voce scura, profonda, impalpabile. I suoi occhi scuri ora scoperti dalla frangia cercavano il vuoto mentre accordava parole insignificanti di presentazione. Il bassista partì suonando un vecchio motivetto terrestre che Hunt non sentiva da molto, ed il cameriere insistè costringendolo ad ordinare. Tutto quello che il dottore poteva permettersi di prendere era un contorno, "l'insalatina dietetica della casa".
Il ferengi annotò l'ordinazione con aria infastidita, ed il dottore si ritrovò dopo poco a mangiare un'insalata dietetica servita dal cameriere più brutto della galassia davanti a un complessino blues che stava trucidando More than you know, uno dei suoi prezzi preferiti. Rimase deluso persino dall'interpretazione della cantante, che non aveva la voce idonea per una canzone del genere. Tuttavia lo consolò la visione di una venere curva su uno sgabello nella penombra.
Tracce della chioma, a vista, non ce n'erano.
Annoiato e intristito dal susseguirsi di pezzi mal eseguiti, ma non per questo stanco o assonnato, Hunt sperava in una fine veloce dell'esibizione. L'insalata poi, gli sembrava che avesse lo stesso sapore del cameriere, ma forse era solo la sua immaginazione.
L'ultimo accordo del bassista risuonò come una liberazione. La cantante ringraziò e sgattaiolò fuori, ed anche Hunt la seguì. Il medico la trovò appoggiata ad una delle vetrate panoramiche, senza soprabito, a bere un cocktail che non sembrava essere fatto di alcol sintetico. Stanca ed infreddolita per il contatto della pelle con il vetro, la ragazza tremò in un brivido.
Hunt si avvicinò porgendole il suo soprabito appena lavato. Lei lo accettò accennando un sorriso amaro. "Ha un buon odore".
"Sì, è il detersivo che usano su questa base", rispose il dottore, rendendosi conto subito dopo del fantastico concetto che era riuscito ad esprimere. Come prima frase da dire ad una donna non c'è male, mormorò tra sé e sé.
Lei sorrise appena, stuzzicata da quello strano modo di fare. Lo squadrò per un attimo. "Ma chi sei?".
Non seppe risponderle, forse per la prima volta nella sua vita non sapeva cosa dire ad una donna che lo studiava con gli occhi, incuriosita.
Ryo si sentiva terribilmente impacciato e vuoto quella notte.
"Beh, non importa. Ora vado. Tieni pure il soprabito".
Mentre accennava ad andarsene rimase sorpreso dalla reazione della donna, che annuì senza rispondere in alcun modo.
Hunt si allontanò senza voltarsi, mentre con un gesto secco lei alzava il bavero del soprabito per proteggersi il collo lungo e scoperto.
Decise di tornare nel suo alloggio mentre le ombre avvolgevano il suo nulla. Già, nulla. All'indomani una nuova nave, un nuovo incarico. E poi nulla. Cosa gli era rimasto? Niente amici, niente famiglia, niente carriera e, strano a dirsi, niente donne. Sentiva dentro di sé di avere buttato via gli ultimi anni, di averli lasciati scorrere senza che lasciassero alcun segno se non quelli del tempo, sentiva di aver buttato l'ennesima notte, del latinum ed un soprabito per un'insalata infima e due chiacchiere con una bella ragazza.
No, il soprabito forse no. Il sapore di lavanda su quel collo fu un buon pensiero per andare a dormire.